ROMA – Si rivolge a “San Ranieri”, la Roma degli americani Friedkin. Un “santino” antico, un usato sicuro il prestigioso Claudio che dovrebbe rimetter insieme una Roma completamente a pezzi dopo l’esperienza di Ivan Juric. Allenatore, romano e romanista da sempre, ha finito per accettare il pesante incarico nonostante avesse giurato a se stesso che ra arrivato il momento di smettere dopo la straordinaria salvezza del Cagliari.
Niente tecnici stranieri, niente ‘aeroplanino’ come Vincenzo Montella per tornare a volare ma un ‘aviatore’ navigato che conosce l’ambiente, ogni spiffero e angolo di Trigoria dove intervenire per smussare e ricostruire un ambiente di sana e robusta costituzione, fisica e psichica. Una scelta di cuore (cui manca solo l’ufficialità da parte del club) anche per la tifoseria che in lui, terzo tecnico della stagione romanista dopo De Rossi e Juric in tre mesi, vede un simbolo assoluto. Per lui panchina fino a giugno 2024 e poi si profila un ruolo da dirigente come direttore tecnico.
Da domani, 14 novembre 2024, con il primo allenamento in programma alle 11, inizia il ‘Ranieri parte 3’, saga di un amore da sempre corrisposto tra un allenatore e una squadra che come un figlio quando ha bisogno di riallinearsi, si rivolge al padre per mettersi sulla retta via. Chi ha memoria storica di quel calcio anni ’90 ricorda che il nome di Ranieri cominciò a essere accostato alla Roma nella stagione 94-95. A Franco Sensi quel 43enne (ai tempi tecnico della Fiorentina di Gabriel Batistuta) sembrò il giusto erede del trasteverino Carletto Mazzone.
Totti era ancora un 19enne dal futuro tutto da costruire, non c’erano campioni conclamati e quella Roma intrisa di romanità, e soprattutto di romanismo, sembrava aver bisogno di un tecnico che quei colori li ha sempre amati. Lui cresciuto a due passi da Testaccio che mosse i primi passi da calciatore nelle giovanili giallorosse per poi debuttare in A nel novembre del 1973 lanciato da Manlio Scopigno. In quella stagione ’94-’95 non se ne fece però niente. Ranieri dovette aspettare quasi quindici anni per vestire in giallorosso. A portarlo a Trigoria nell’estate del 2009 ci pensò Rosella Sensi, figlia di Franco, “perchè il suo nome era negli appunti di mio padre”.
Il sostituto dell’attuale ct Luciano Spalletti (dimessosi in seguito alle sconfitte rimediate contro Genoa e Juventus nelle prime due giornate di campionato) si presentò allora dopo le esperienze in Spagna (Valencia e Atletico Madrid) e in Inghilterra (Chelsea) prima di tornare in Serie A con il Parma e la Juventus. Di quell’anno e mezzo, oltre all’impresa scudetto sfiorata dopo una clamorosa rimonta sull’Inter di Mourinho, si ricordano i 4 derby su 4 vinti tra campionato e Coppa Italia, la sfuriata contro i giornalisti nel settembre 2010 (“Oggi parlo io, non voglio alibi”) e la risposta ironica e piccata a un cronista che recriminava su presunti favori arbitrali ai giallorossi durante una stracittadina con la Lazio (“Ve state a attaccà ar fumo della pipa”).
Il secondo capitolo arriva quasi dieci anni dopo e Ranieri lo scrive con il titolo di baronetto sulla sua effigie. Era reduce tre stagioni prima dall’eroica impresa con il Leicester che portò alla conquista della Premier League, cui ha fatto seguito la non fortunata esperienza al Nantes e al Fulham. L’8 marzo del 2019 prese le redini al posto dell’esonerato Eusebio Di Francesco, reduce dall’eliminazione agli ottavi di Champions subita in rimonta dal Porto.
Allora come gli è richiesto oggi, in quel caos societario agì puramente da traghettatore fino al termine della stagione, conducendo la squadra al sesto posto in campionato e alla qualificazione in Europa League sfiorando la zona Champions per tre punti. Ne fece 22 in 12 partite, alla media di 1,83 a incontro, quanto basta per dirsi arrivederci ancora una volta con le lacrime agli occhi. L’ultimo match della stagione contro il Parma fu quello dei saluti. E per uno gioco del destino, coincise con l’addio da giocatore della Roma di Daniele De Rossi, che avrebbe poi chiuso la carriera in Argentina al Boca Juniors. Proprio lui. De Rossi, il tecnico che venne licenziato a settembre dai Friedkin, scelta che fu l’origine di una valanga di errori a cui ora Sir Claudio è chiamato a porre rimedio.