Migliaia di persone insieme all’arcivescovo Gherardo Gambelli in processione per l’apertura dell’anno giubilare a Firenze: il corteo è partito dalla piazza della Santissima Annunziata diretto verso la Cattedrale per la Messa. Per l’arcivescovo, il Giubileo non è solo un tempo di preghiera e di speranza, ma anche occasione per opere concrete di solidarietà. Nell’omelia in Cattedrale, Gambelli ha sottolineato tre verbi: rimanere, cercare, custodire. Firenze Post e Toscana Post pubblicano integralmente l’omelia.
Domenica 29 settembre alla fine della Messa celebrata qui in Duomo, all’inizio dell’anno pastorale
nella giornata del migrante e del rifugiato, c’eravamo dati appuntamento per ritrovarci ancora in
questo luogo oggi, 29 dicembre, per la solenne apertura del Giubileo nella nostra Diocesi. Il breve
pellegrinaggio che abbiamo compiuto ci ricorda il tema su cui abbiamo riflettuto il 29 settembre:
Dio cammina nel suo popolo e con il suo popolo.
Siamo pellegrini di speranza, chiamati particolarmente in questo anno di grazia, a metterci in
ascolto con rinnovata attenzione della Sacra Scrittura che illumina le nostre esistenze e ci fa
scorgere sempre meglio la presenza del Signore che cammina con noi e in mezzo a noi. Il testo del
Vangelo della Messa ci invita a contemplare il pellegrinaggio della Santa Famiglia, a lasciarci
ispirare dal loro modo di vivere, ben sapendo che proprio nelle relazioni quotidiane apparentemente
banali, all’interno delle nostre case, delle nostre comunità, delle nostre parrocchie noi possiamo far
sì che il Signore cresca con la sua sapienza, statura e grazia. Ci lasciamo guidare nella riflessione da
tre verbi importanti: rimanere, cercare, custodire.
Il primo verbo che caratterizza un’azione propria compiuta da Gesù nel vangelo di Luca è proprio il
verbo rimanere. Trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo
Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Il verbo greco ypoménein ha il
significato anche di perseverare, pazientare. Si ritrova per esempio nel discorso missionario: “Sarete
odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” (Mt 10,22).
“Rimanere” indica dunque una volontà ferma di Gesù di obbedire alla volontà del Padre, al suo
modo di salvare gli uomini che conduce spesso i suoi inviati nel mondo a essere percepiti come
segno di contraddizione.
C’è uno scandalo da superare, anche per Maria e Giuseppe, che consiste nell’accogliere l’amore
gratuito del Signore. Come verrà chiarito in seguito, il motivo del rimanere di Gesù a Gerusalemme
è perché deve occuparsi delle cose del Padre suo.
Il verbo “dovere” nel vangelo di Luca esprime l’amore misericordioso del Cristo, che disprezza
profondamente il peccato e proprio per questo ama intensamente i peccatori. Si ritrova per esempio
nella parabola del Padre misericordioso, quando quest’ultimo si rivolge al figlio maggiore dicendo:
“Figlio mio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava (si doveva) far festa e
rallegrarsi perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”
(Lc 15,31-32).
L’anno giubilare è un tempo di grazia per combattere la tentazione pelagiana di chi pensa di potersi
salvare da solo con le proprie forze. Lasciamoci illuminare dall’esempio di Santa Teresa di Lisieux
che diceva alla sorella Leonia: «Ti assicuro che il buon Dio è assai migliore di quanto tu creda: si
accontenta di uno sguardo, di un sospiro d’amore. Quanto a me, trovo molto facile praticare la
perfezione, perché ho capito che non c’è che da prendere Gesù per il cuore! Guarda un bambino,
che ha appena recato dispiacere a sua madre. […] Se le tenderà le braccine sorridendo e dicendo:
“Abbracciami, non ricomincerò più”, potrà forse sua madre non stringerselo al cuore con tenerezza
e dimenticare le sue mancanze infantili? Tuttavia, ella sa bene che il suo caro piccino ricomincerà
alla prossima occasione, ma questo non importa: se egli la prende ancora per il cuore, non sarà mai
punito». Il rimanere di Gesù, il suo dovere essere nelle cose del Padre esprimono dunque il suo
amore fedele e misericordioso per ognuno di noi.
Il secondo verbo, “cercare” è quello che caratterizza Maria e Giuseppe. Il senso di questo verbo si
illumina anch’esso alla luce di altri versetti del Vangelo in cui viene impiegato, particolarmente nei
racconti pasquali. Il mattino del primo giorno della settimana, al sepolcro, due uomini in abito sfolgorante si presentano alle donne, dicendo: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”.
Notiamo che Maria ha capito la lezione e dopo aver cercato per tre giorni angosciata suo figlio
dodicenne, non va a cercarlo al sepolcro dopo la sua morte perché adesso sa che è nelle cose del
Padre.
Notiamo in questa evoluzione dell’atteggiamento di Maria la crescita di una virtù di cui c’è molto
bisogno per una sana convivenza, vale a dire la capacità di accogliere il mistero rappresentato da
ogni persona. Nella famiglia ogni membro è per l’altro segno e strumento dell’amore di Dio, ma
perché esso si manifesti bisogna imparare a fermarsi sulla soglia e lasciare che l’altro, l’altra possa
esprimere il suo dono, come e quando vuole.
Nell’Esortazione Amori Laetitia Papa Francesco sviluppa questa idea dicendo: “È necessario che il
cammino spirituale di ciascuno – come indicava bene Dietrich Bonhoeffer – lo aiuti a “disilludersi”
dell’altro a smettere di attendere da quella persona ciò che è proprio soltanto dell’amore di Dio.
Questo richiede una spogliazione interiore. Lo spazio esclusivo che ciascuno dei coniugi riserva al
suo rapporto personale con Dio, non solo permette di sanare le ferite della convivenza, ma anche di
trovare nell’amore di Dio il senso della propria esistenza. Abbiamo bisogno di invocare ogni giorno
l’azione dello Spirito perché questa libertà interiore sia possibile” (AL 320).
Il terzo verbo è “custodire”: “Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. Questo verbo si
ritrova in una forma leggermente diversa al momento della nascita di Gesù, laddove Maria dopo
aver ascoltato le parole dei pastori viene presentata nell’atteggiamento del vero discepolo che
custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore. È l’atteggiamento di chi prega, mettendo
insieme la vita con la Parola di Dio, lasciando che le due dimensioni si illuminino a vicenda.
A settembre, alla fine della Messa, ognuno ha ricevuto un rosario proveniente dalla Terra Santa.
Sarebbe bello se in questo anno giubilare noi riscoprissimo il valore di questa preghiera da fare in
famiglia e nelle nostre comunità. Nell’arte, spesso, la corona del rosario viene presentata come una
catena che tiene unite le persone e con la quale prendiamo coscienza di quella fune attaccata
all’ancora di salvezza che è già penetrata nel cielo con la morte e la risurrezione di Gesù. Ad essa
possiamo aggrapparci nelle tempeste della vita, come ci dice una bella storia.
In un villaggio vicino a un fiume, viveva una famiglia felice. Erano tre per il momento: il papà, la
mamma e un bambino di sei anni. La sera, prima di andare a letto, facevano la preghiera insieme e
un angelo del Signore ogni sera raccoglieva le preghiere e le portava in cielo. Un anno le piogge
erano state particolarmente abbondanti nel villaggio e il fiume si riempì d’acqua. Durante la notte,
l’acqua cominciò a entrare nella casa della famiglia e il papà svegliò la mamma e il bambino.
Disse loro: «Saliamo sul tetto!». Sul tetto, si sentivano come naufraghi su un’isola che diventava sempre
più piccola. Infatti, l’acqua continuava a salire e arrivò alle ginocchia del papà. Allora disse a sua
moglie: «Prendi il bambino tra le tue braccia e sali sulle mie spalle! Mettiti in piedi sulle mie spalle
e il bambino sulle tue. Non aver paura, qualunque cosa possa succedere io non ti lascerò».
La mamma baciò il bambino e gli disse: «Sali sulle mie spalle e non aver paura. Qualunque cosa
succeda, non ti lascerò». L’acqua continuava a salire e inghiottì il papà, la mamma e arrivò
all’altezza della fronte del bambino. L’angelo del Signore, che era venuto a raccogliere le preghiere
della sera, vide solo i capelli del bambino apparire in mezzo alle acque. Con un leggero movimento,
afferrò il bambino e tirò. Attaccati al bambino la mamma e il papà uscirono insieme dalle acque.
Nessuno aveva lasciato la presa. L’angelo volò via e posò dolcemente l’originale catena su una
collina alta, dove le acque non avrebbero mai potuto arrivare. Il papà, la mamma e il bambino si
baciarono pieni di gioia. Invece delle preghiere quella sera l’angelo portò in cielo il loro amore e la
moltitudine degli esseri celesti approvò con un forte applauso.
Ti ringraziamo Padre per averci chiamato oggi qui nella tua casa, come pellegrini di speranza.
Manda su di noi la forza dello Spirito Santo perché possiamo adorare il Signore Cristo nei nostri cuori ed essere così pronti a rispondere con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza a chiunque
ci domandi ragione della speranza che è in noi.