ROMA – Il generale libico Almasri, presunto torturatore di migranti, sarebbe stato espulso dall’Italia Paese perché era un “soggetto pericoloso”. A 48 ore dallo scoppio del caso politico del generale libico ricercato dalla Corte dell’Aia per crimini di guerra, prima arrestato e poi rilasciato dalle autorità italiane, il governo interviene per la prima volta in maniera ufficiale sulla vicenda.
È il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, a fornire al question time al Senato una prima risposta: una volta scarcerato su disposizione della Corte d’Appello, Almasri è stato “rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione, vista la pericolosità del soggetto” e per il fatto che dal momento del rilascio “era ‘a piede libero’ in Italia”.
Si è trattato della “misura più appropriata, anche per la durata del divieto di reingresso”, spiega il titolare del Viminale, che la settimana prossima riferirà nuovamente in Parlamento, fornendo un approfondimento su tutti i passaggi della vicenda, “compresa la tempistica riguardante la richiesta, l’emissione e l’esecuzione del mandato di cattura internazionale, che – dice – è poi maturata al momento della presenza in Italia del cittadino libico”.
Intanto non si placa la polemica politica con il Pd che chiede che sia la premier Meloni a dover riferire alle Camere. “Siamo di fronte a scelte fatte dal governo con il coinvolgimento di altri pezzi dello Stato – attacca il presidente dei senatori dem, Francesco Boccia -. Si tratta di una decisione politica del governo italiano che ha riportato un criminale in Libia con un aereo di Stato. Questa decisione è stata presa a Palazzo Chigi. Giorgia Meloni non può nascondersi dietro i suoi ministri e deve venire in Parlamento a spiegare cosa è avvenuto”.
Il nastro della vicenda va riavvolto almeno di qualche giorno, quando la Corte dell’Aja sabato scorso, con una maggioranza di due giudici a uno, ha spiccato un mandato d’arresto sul generale libico per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella prigione di Mittiga, vicino a Tripoli, dal febbraio 2011: il provvedimento scatta dodici giorni dopo l’inizio del viaggio di Almasri in giro per l’Europa, quando il libico aveva già attraversato Regno Unito, Belgio e Germania superando i controlli (nei mesi scorsi risulta essere stato anche in Francia, Olanda e Svizzera).
Poi domenica 19 gennaio Almasri, da poco arrivato a Torino dopo essere stato negli altri Paesi, è stato quindi fermato e messo in carcere dalla polizia italiana, per essere in seguito rilasciato il 21 gennaio su disposizione della Corte d’Appello a causa di un errore procedurale: si è trattato di un arresto irrituale, perché la Corte penale internazionale non aveva in precedenza trasmesso gli atti al ministro della Giustizia. Infine è stato rimpatriato dall’Italia su un volo di Stato, prima di essere portato in trionfo da decine di suoi sostenitori che lo hanno accolto festanti, come si vede dai social.
La serie di eventi ha scatenato le accese proteste dell’opposizione e della stessa Corte penale internazionale, dopo aver visto sfumare la consegna di un uomo che voleva arrestare per crimini di guerra e contro l’umanità. Ma il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani non ci sta: “L’Aja non è il verbo, non è la bocca della verità. Si possono avere opinioni diverse – spiega rispondendo ai giornalisti – L’Italia non è sotto scacco di nessuno, siamo un Paese sovrano e facciamo la nostra politica”.
E sul caso l’Unione europea si sfila: “È compito della Cpi gestire la situazione, non è la Commissione che deve attuare le decisioni della Corte, sono gli Stati membri”, dice un portavoce dell’esecutivo Ue. Ma per Angelo Bonelli, deputato Avs, “le parole di Tajani contro la corte penale internazionale sono sconsiderate”.
Intanto l’avvocato Luigi Li Gotti, ex sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi, ha presentato una denuncia contro la premier, i ministri dell’Interno e della Giustizia, e il sottosegretario Mantovano, per favoreggiamento personale e peculato.