
FIRENZE – La Guardia di Finanza, in collaborazione con il comando provinciale di Reggio Calabria e la Polizia di Stato di Siena, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, ha condotto accertamenti economico patrimoniali ai sensi del Codice Antimafia nei confronti di un imprenditore contiguo alla ‘ndrangheta residente con il suo nucleo familiare in provincia di Siena, che hanno portato al sequestro di 600.000 euro.
La figura dell’indagato, destinatario, attraverso una sua società attiva nel settore edile, di un primo provvedimento interdittivo antimafia emesso nel 2003 dalla Prefettura di Reggio-Calabria, è emersa nel 2011 nell’ambito dei procedimenti denominati “Archi-Astrea” e “Ghota” della Direzione Distrettuale Antimafia reggina, che lo ha ritenuto, anche sulla base di riscontrate dichiarazioni di collaboratori di giustizia, portatore di pericolosità sociale.
L’imprenditore, quale fidato prestanome e uomo curante gli interessi patrimoniali della cosca Tegano-De Stefano, originaria di Reggio Calabria e con proiezioni sul territorio nazionale, si è reso disponibile, secondo la Dda, attraverso fittizie intestazioni societarie, ad occultare l’effettivo gestore, un componente di spicco della medesima ‘ndrina.
Nello specifico, risulta aver falsamente stipulato un contratto d’affitto d’azienda e aver attribuito fittiziamente a terzi soggetti, con il proprio contributo causale e consapevole, la titolarità formale di quote di società operanti nei settori edile, costruzioni e servizi (appositamente costituite), essendo in realtà l’attività imprenditoriale di proprietà, di fatto, della cosca di riferimento.
In relazione alle risultanze delle attività investigative, la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nel quadro delle attività finalizzate al contrasto degli interessi economico imprenditoriali della criminalità organizzata, ha delegato i Nuclei di Polizia Economico Finanziaria di Firenze e Reggio Calabria e la Squadra Mobile di Siena, a svolgere apposita indagine anche di carattere economico – patrimoniale, finalizzata all’applicazione, nei confronti dell’imprenditore di misure di prevenzione patrimoniali.
Una volta documentata la pericolosità sociale, le indagini hanno consentito di ricostruire, attraverso una complessa e articolata attività di riscontro, anche documentale, il patrimonio direttamente e indirettamente nella disponibilità dell’indagato, il cui valore è risultato sproporzionato (nell’arco di quasi 30 anni per circa 800.000 euro) rispetto alla capacità reddituale manifestata.
Sul punto, il Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di Prevenzione ha in sintesi osservato come la ragione della sproporzione tra il patrimonio posseduto e i redditi lecitamente dichiarati sia da individuarsi in guadagni che potrebbero derivare dalla sua piena messa a disposizione della cosca. Conseguentemente, il divario ricostruito durante il periodo di manifestazione di pericolosità sociale appare non giustificato da capitali di origine lecita e, pertanto, suscettibile di misura ablativa.