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Armi, Eurocamera approva il piano Ursula. Italia spaccata. Metà Pd disubbidisce alla Schlein. E il Campo largo evapora

Armi, Eurocamera approva il piano Ursula. Italia spaccata. Metà Pd disubbidisce alla Schlein. E il Campo largo evapora

Ursula Von der Leyen

“Riarmiamoci, con 800 miliardi di euro”, propone Ursula Von der Leyen. E l’Europarlamento dice sì. Ma l’Italia si spacca. Il testo della risoluzione che certifica il sostegno dell’Eurocamera al RearmEu, infatti, divide la maggioranza di governo, il Campo largo, e anche il Pd. E a prevalere sono i partiti scettici nei confronti della strategia della Commissione, votata con un chiaro via libera solo da Fi, Fratelli d’Italia e da quasi la metà degli eurodeputati Dem.

I meloniani hanno scelto di astenersi sulla risoluzione gemella, dedicata al sostegno militare all’Ucraina, certificando così la volontà del governo di non voltare le spalle agli Usa di Donald Trump. Von der Leyen aveva scelto di ricorrere alla procedura d’urgenza, decisione contestata perfino dal suo gruppo. Il Pe non è stato chiamato a votare il riarmo, ma due risoluzioni, di cui una sulla difesa che conteneva un paragrafo sul riarmo, e l’altra centralizzata sul sostegno a Kiev.

Alla fine la maggioranza Ursula ha tenuto, incassando sull’Ucraina 442 voti a favore, 98 contrari e 126 astenuti. Numeri simili sul testo dedicato alla difesa europea, con 419 sì, 204 contrari e 46 astenuti. Tuttavia, è su questo secondo voto che la politica italiana s’è rotta in mille pezzi: il centrodestra è andato in frantumi con il sì di Fratelli d’Italia e Forza Italia e il no convinto della Lega. In ordine sparso anche l’opposizione e in particolare il Pd, che a sua volta si è diviso in due tra astenuti e favorevoli. Solo grazie agli sforzi di mediazione del capo delegazione Nicola Zingaretti, tra i dem non ci sono stati voti contrari, in particolare quello dei due indipendenti, Marco Tarquinio e Cecilia Strada.

Detto questo, l’indicazione ad astenersi, che era venuta dalla segretaria Elly Schlein, è stata seguita solo da 11 eurodeputati, mentre i rimanenti 10, tra cui Stefano Bonaccini e Antonio Decaro, hanno deciso di votare a favore. Secondo Zingaretti, questo voto “è stato uno stimolo a costruire una vera difesa comune Ue”. Pina Picierno, ha sottolineato invece che chi, come lei, ha votato a favore ha permesso al Pd di “non isolarsi dal resto del gruppo dei Socialisti Ue”.

Come previsto, in Europa il Campo largo è evaporato. Il M5S ha confermato di volersi candidare a forza pacifista, i Verdi italiani, in dissenso dal gruppo al Pe, hanno votato no. E contraria è stata anche la Sinistra, italiana ed europea. Ma il centrodestra, dalla votazione di Strasburgo, non esce più compatto, e non solo sul dossier riarmo. Sul testo filo-ucraino i meloniani, a dispetto di Fi, hanno imboccato la via dell’astensione. In extremis, poco prima che si aprisse il voto finale, è stato Nicola Procaccini a chiedere all’aula il rinvio dell’esame, sottolineando come la versione finale della risoluzione non fosse adeguata agli ultimi sviluppi dei colloqui di Gedda: “Si finirebbe per scatenare l’odio verso gli Usa invece che aiutare l’Ucraina”, ha osservato il copresidente di Ecr. La risoluzione, in effetti, critica fermamente la scelta dell’amministrazione Usa “di rappacificarsi con la Russia”.

Ma la richiesta di Ecr è stata bocciata dall’Aula: “Doveva essere una risoluzione a favore dell’Ucraina, è diventata contro gli Stati Uniti”, ha sintetizzato il capodelegazione di Fratelli d’Italia, Carlo Fidanza. Von der Leyen, dal canto suo, può proseguire sulla sua strada: il RearmEu sarà ulteriormente delineato nei prossimi giorni, per finire sul tavolo del Consiglio europeo della prossima settimana. E c’è chi, come il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, ha già evocato l’idea di uno scorporo permanente delle spese della difesa da Patto di Stabilità.

Resta il rebus politico che segna la posizione italiana. Un dato, su tutti, fotografa la peculiarità del nostro Paese: in Aula Ecr aveva presentato un emendamento – caro a Giorgia Meloni – in cui si chiedeva il cambio di nome del piano Ue, da ‘ReArmEu’ a ‘Defend Europe’. A votarlo nell’intero emiciclo è stato il gruppo dei Conservatori, la delegazione del Pd, quattro popolari e un patriota della Repubblica Ceca.

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