Dopo tanti anni ce l’abbiamo fatta: il Calcio storico e il Corteo della Repubblica Fiorentina, gloriose rievocazione della partita e della sfilata dell’assedio di Firenze, da parte delle truppe di Carlo V, il 17 febbraio 1530, diventano “beni culturali, espressioni dell’identità collettiva”, con riconoscimento del Ministero della Cultura. E’ un grande successo per Firenze e il suo straordinario retaggio storico. Una vittoria anche contro coloro, in particolare a Firenze e nei salotti radical chic, che hanno lottato contro il “gioco in livrea”, definendolo, di volta in volta “brutale”, oppure “selvaggio”. O addirittura “inguardabile”.
Sono in molti ad ascriversi, da subito, il merito del “bollino” ministeriale. In primis Antonella Ranaldi, Soprintendente di Firenze, Pistoia e Prato, dell’Istituto Centrale per il patrimonio immateriale, Comune, Università di Firenze e associazioni varie. Poi Francesco Torselli, eurodeputato, che dice grazie “al Ministero della Cultura e al governo Meloni per aver dato valore a queste tradizioni, che incarnano lo spirito e l’identità di Firenze”.
Certo, c’è stato chi ha scritto carte, inviato documenti e messo bolli. Ma in queste righe vorrei citare, e soprattutto ricordare, alcuni artefici, ossia protagonisti assoluti capaci di traghettare la Rievocazione, fino ai giorni nostri. Passando attraverso ostacoli, diffidenze, ironie gratuite. Il primo nome che mi torna in mente è quello del colonnello Aldighiero Batini, comandante dei vigili urbani fiorentina, che fu fra gli ideatori del rilancio della manifestazione nel 1930, in occasione dei 400 anni dall’assedio e dalla morte di Francesco Ferrucci, per mano del “vile Maramaldo”, a Gavinana. Batini ebbe anche il merito di far continuare il “Calcio” dopo la guerra. Affermando, con ragione, che non era affatto un “retaggio dell’epoca fascista”, ma la riscoperta di una pagina di storia. Di Firenze, dell’Europa e del mondo.
Poi Luciano Artusi, erede diretto di Batini, come direttore del Corteo e grande animatore del “Calcio”. Artusi, anche voce storica, (“State attenti al comandooooo…”), prima delle partite ha saputi far rispettare la tradizione. Sempre. Anche nel quasi religioso rispetto dei costumi cinquecenteschi. Sostenendo, giustamente, che se non ci fosse stata, nella ricostruzione, aderenza stretta, alle fogge e alle abitudini del 17 febbraio 1530, si poteva correre il rischio di sconfinare nella “pagliacciata”.
Poi vorrei ricordare alcuni calcianti: a cominciare dai nuotatori della Rari Nantes Florentia, che giocarono le partite del 1930. Sicuramente farò torto a qualcuno perchè devo frugare nella mia memoria, ossia di quando, per entrare in piazza Signoria, mi nascondeva nella bandiera dei Bianchi di Santo Spirito, grazie alla compiacenza dell’alfiere, Bagheo, e di capitan Vannacci. In quella squadra c’erano Renzo Allegri detto “Cimitero”, Gino Abbrevi detto “Buio”, Piero Fantechi detto il “Rossino”, Ugo Poggi, che sarebbe poi diventato uomo del cinema e anche presidente della Fiorentina nell’epoca Cecchi Gori. Più tardi Andrea Venturi detto il “Ruspa” e Raoul Bellucci, il “Bambino”.
C’erano personaggi, naturalmente anche fra gli altri colori. Dal ’70 in poi emersero due nomi su tutti: Gabriele Ceccherelli, detto “Zena” fra gli Azzurri e Gianluca Lapi dei Verdi. Potrei continuare ma rischierei l’elenco del telefono.
Aggiungo solo una mia iniziativa: sollevai, una trentina d’anni fa, quando ero nel vertice della cronaca di Firenze de “La Nazione”, un problema di dignità dei calcianti: mi ribellai al fatto che troppo spesso, in occasione di arresti, specie per rissa, chi finiva dietro le sbarre venisse definito, a sproposito, “ex calciante”. Molte volte era solo qualcuno che aveva partecipato agli allenamenti o disputato qualche partita. Non si doveva generalizzare. I “calcianti” erano e sono altro: protagonisti in piazza ma persone semplici e non coinvolte in fatti di cronaca fuori. Per alcuni anni la mia battaglia fu vinta. Talvolta riaccade. Ma sempre meno.
Devìo infine su un altro nome: che, a suo modo, è entrato nella storia del nostro “Calcio”: Uberto Bini, fondatore dell’Associazione “Cinquanta minuti”, capace di raggruppare le “vecchie glorie”, ossia gli ex calcianti, pronti a giocare, ogni anno, il 17 febbraio, per ricordare l’Assedio. Uberto e chi, umilmente scrive queste righe, proposero a Palazzo Vecchio di celebrare la data fatidica, il 17 febbraio di ogni anno, come giornata fiorentina. Se è stato scelto il 30 novembre come festa della Toscana (in omaggio all’abolizione della pena di morte voluta dal Granduca di Toscana nel 1786) perchè non rendere solenne, almeno in città, il 17 febbraio?
Ecco, credo che ora, con il riconoscimento del Ministero, Palazzo Vecchio possa prendere una decisione in questo senso. Magari dando un nuovo assetto al Comitato del Calcio Storico. Che sappia elevandolo il “gioco in livrea” a vero e proprio “bene culturale”. Nel nome di Firenze e di chi si è speso, fino a oggi, per onorarlo e portarlo avanti.