Erano tre autotrasportatori e due manutentori. Rischiavano ogni giorno alla guida di quelle autobotti che dovevano rifornire i distributori di benzina di tutt’Italia. Guidavano per ore, consapevoli del pericolo, delle “potenziali bombe” che portavano. Badavano alla strada, ma mai avrebbero pensato di poter saltare in aria durante un’operazione che avevano sempre considerato di routine: appunto il riempimento dell’autocisterna. Eppure, alle 10,20 del 9 dicembre 2024, un lunedì, quel passaggio alla raffineria Eni di Calenzano per loro è stato fatale.
MARTINELLI – Chi erano le vittime dell’esplosione? Eccole: la prima, quella che da subito ha avuto un nome, era Vincenzo Martinelli, cinquantunenne napoletano, residente da diversi anni a Prato: lascia una moglie e due figlie di diciotto e ventuno anni. “Una di loro ha preso la patente da pochi giorni ed era stato lui – raccontano gli amici – a fare orgogliosamente con lei la guida preparatoria per l’esame”. Appassionato di cani e di caccia, Vincenzo aveva provato recentemente anche un’esperienza lavorativa all’estero, in Germania, ma proprio per stare con le sue figlie era tornato a lavorare a Prato, dove viveva in centro storico e dove tutti ormai lo conoscevano.
CORSO – Quindi Carmelo Corso, cinquantasette anni, lavorava per il Raggruppamento autotrasportatori toscani e in passato era stato alle dipendenze proprio dell’Eni, come guardia giurata. Carmelo era originario di Catania ma dal 1993 si era trasferito a San Giorgio a Colonica, nel Pratese, con la moglie e i loro due figli.
CIRELLI – Aveva cinquant’anni Franco Cirelli, un passato nella brigata paracadutisti Folgore: a ricordarlo sono i cittadini di Cirigliano, piccolo paese del Materano con circa trecento abitanti dove l’autotrasportatore viveva con la compagna e due figli piccoli. I suoi amici hanno anche raccontato che “Franco era un grande appassionato di calcio. Tifava per la Juve e negli anni passati ha più volte giocato da centrocampista nei campionati delle serie minori lucane”.
PEPE – La stessa disperazione per “una inaccettabile morte sul lavoro” si sta vivendo a Sasso di Castalda, nel Potentino, dove viveva il quarantacinquenne Gerardo Pepe, l’altra vittima lucana dell’esplosione di Calenzano. Gerardo era nato in Germania, dove i suoi genitori erano emigrati per lavorare. “Lui – dicono i suoi compaesani – era una persona dedita al lavoro, un bravo padre di famiglia, adorava sua figlia, di dodici anni, ed era sempre disponibile con tutti”.
BARONTI – Il tennis era una via d’uscita dalle fatiche del lavoro per Davide Baronti, quarantanove anni, cresciuto a Livorno ma residente a Bientina, in provincia di Pisa. Qui Davide, originario della provincia di Novara, abitava da qualche anno con moglie e figli. “Stava fuori tutta la settimana – spiega un suo conoscente – e approfittava dei weekend per rilassarsi con le racchette, che era la sua valvola di sfogo fuori dallo stress del lavoro quotidiano. Nei prossimi mesi lo ricorderemo senz’altro con un torneo in sua memoria e un evento commemorativo”. Con quella sua risata contagiosa al centro sportivo di Bientina “aveva contagiato davvero tutti”, dove quel campo in terra rossa serviva proprio a scaricare la tensione e ricaricare le pile in vista della settimana su quei camion.
MEMORIA – Ora Vincenzo, Carmelo, Franco, Gerardo e Davide, vittime del lavoro, vengono pianti e commemorati dalle comunità dove sono cresciuti, o che li hanno accolti. Tutte sono pronte a ricordare i cinque autotrasportatori con eventi di commemorazione, giornate di lutto, bandiere a mezz’asta. Ma il modo migliore è davvero chiedere, e ottenere, una svolta decisiva nella prevenzione. Perchè davvero, come ha sostenuto recentemente il presidente Mattarella. non si può morire andando a lavorare.