L’addio al Fondatore Beppe Grillo si è compiuto. Con il 63,24% dei voti favorevoli, gli iscritti M5S che hanno votato all’assemblea costituente, ha detto ‘sì’ all’abolizione del ruolo del garante, attualmente ricoperto dal fondatore Beppe Grillo. E abolito lo stop ricandidatura dopo il secondo mandato. È l’esito delle votazioni annunciato durante l’evento Nova in corso a Roma. Contrario il 29,09% dei votanti mentre si è astenuto il 7,67%. Dopo l’annuncio si è levato un applauso in sala.
Si è compiuto così il “grillicidio” voluto da Giuseppe Conte. E già bollato, da quello che è stato il fondatore e garante con la frase secca: “Da francescani a gesuiti”. L’ultimo appello, a modo suo, Grillo lo aveva fatto sui social il 4 ottobre scorso, data del quindicesimo compleanno della sua ‘creatura’.
“Ecco il Movimento 5 Stelle”, aveva scritto Beppe Grillo postando il video del suo intervento al teatro Smeraldo di Milano di 15 anni prima, mentre presentava il programma elettorale della neonata forza politica. Un invito a tornare alle origini, reazione all’assemblea costituente voluta da Giuseppe Conte che, oggi, lo ha esautorato dal ruolo di garante, sancendo l’irrimediabile addio dei cinque stelle al loro fondatore.Si compie quello che è stato chiamato – e da alcuni a lungo auspicato – ‘grillicidio’.
Il “padre padrone”, come Conte lo aveva definito all’inizio della loro tormentata relazione politica e personale, non c’è più. Ma nessuno, anche tra i cinque stelle che oggi hanno assistito alla sua ‘decapitazione’, riesce a negare che Grillo è stato tra i più importanti innovatori della politica italiana nella seconda repubblica, creando dal nulla un partito che è poi arrivato al governo del paese forte di oltre il 32% dei consensi alle elezioni.
In principio furono furono i ‘Vaffa day’, che portarono in piazza gli attivisti che in tutta Italia si andavano organizzando nei meet-up degli ‘Amici di Beppe Grillo’ lanciati grazie al seguitissimo blog del comico genovese, la sua arma da guerra messa a punto insieme all’altro fondatore del Movimento, Gianroberto Casaleggio.
A Bologna, nel settembre 2007, Grillo attraversa piazza Maggiore su un cannotto, sorretto dalle migliaia di sostenitori presenti. Nel 2009 il battesimo a Milano, come detto. È la fase ‘dura e pura’ delle origini, oggi rimpianta da molti della vecchia guardia: contro i partiti tradizionali (con i quali si esclude qualunque alleanza), contro i gli inquisiti e i condannati in Parlamento, che porta avanti battaglie contro le grandi opere – la Tav, la Tap, il Ponte sullo Stretto – per l’acqua pubblica, la mobilità sostenibile, le energie rinnovabili.
Il momento di svolta alle elezioni del 2012, con l’elezione dei primi sindaci a 5 Stelle. Il primo in assoluto è quello di Parma Federico Pizzarotti. In autunno Grillo attraversa a nuoto lo stretto di Messina per conquistare quasi il 15% dei voti alle regionali. Il 2013 è l’anno dello ‘Tsunami tour’, la campagna per le politiche che vede il fondatore girare l’Italia mentre vengono candidati perfetti sconosciuti selezionati con le ‘parlamentarie’ sul web. Il risultato è superiore alle aspettative e, anche se non viene confermato alle europee dell’anno successivo (memorabile l’apparizione in video di Grillo con il Maalox), segna una parabola crescente: il Movimento arriva a ottenere oltre il 25,5%, Luigi Di Maio diventa il più giovane vicepresidente della Camera.
I ‘grillini’ promettono di “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno” e introducono innovazioni anche nella comunicazione: è l’epoca degli attacchi ai giornalisti e alla stampa tradizionale, della disintermediazione dell’informazione grazie agli strumenti forniti dal web e dai nascenti social media, delle riunioni in streaming. Sono ormai storia le consultazioni per formare il governo con i premier in pectore Pierluigi Bersani e Matteo Renzi, con Grillo e i suoi che rifiutano ogni proposta.
Dopo la battuta d’arresto alle europee, nel 2014 il Movimento comincia a strutturarsi. Grillo mette ai voti on line la nomina di un ‘direttorio’ composto da 5 deputati: sono Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio, Roberto Fico, Carla Ruocco e Carlo Sibilia. Il 2016 è un anno cruciale: muore il co-fondatore Casaleggio, il Movimento rischia di entrare in una crisi di identità e stabilità; ma Grillo riesce a tenere la barra dritta e a giugno i cinque stelle conquistano le città di Roma e Torino, con le sindache Virginia Raggi e Chiara Appendino.
È l’anticipazione dell’apice che il Movimento raggiungerà alle politiche del 2018, sotto la guida del nuovo capo politico Luigi Di Maio: alle elezioni è il primo partito in Parlamento, con oltre il 32%, e va al governo proponendo come premier un professore universitario fino ad allora semi-sconosciuto, Giuseppe Conte. Dopo la crisi del governo giallo-verde aperta da Matteo Salvini, Di Maio annuncia l’accordo con il Pd e la nascita dell’esecutivo giallo-rosso.
L’avvento di Mario Draghi premier – appoggiato non senza tormenti dai cinque stelle – apre la strada alla leadership di Giuseppe Conte. Di Maio si era dimesso da capo politico nel 2019 e a guidare il Movimento era stato il reggente Vito Crimi. Grillo e Conte si incontrano per decidere insieme il nuovo corso ma la bozza di nuovo statuto presentata dall’ex premier viene respinta dal fondatore.
“Una diarchia non funziona. Non faccio il prestanome di un leader ombra”, è la posizione dell”avvocato del popolo’, a cui Grillo replica che “Conte, mi dispiace, non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione”. In quello scambio si intravede già il rapporto tormentato tra i due, che in fondo non si sono mai amati.
La relazione attraversa comunque indenne i passaggi successivi, dall’addio al governo Draghi alla sofferta scissione di Di Maio che abbandona i cinque stelle, dalle elezioni politiche del 2022 alle europee del giugno scorso, quando il Movimento scende sotto il 10%. Lì Conte decide di lanciare l’assemblea costituente per rivoluzionare principi e regole M5S: limite dei due mandati, nome e simbolo, alleanze, ruolo del garante (di cui si propone anche l’abolizione) e del presidente. Temi che Grillo considera fondativi e “non negoziabili”: comincia così un botta e risposta a colpi di post e di pec. Il presidente annuncia la revoca del contratto da 300 mila euro sottoscritto con Grillo. La frattura tra i due è definitiva. Oggi l’assemblea costituente e il voto degli iscritti la confermano, abolendo il ruolo del garante e di fatto escludendo di Grillo dalla vita del Movimento.
Resta da vedere come reagirà il fondatore che, in uno degli ultimi video social, rivendicava il diritto all’estinzione della sua creatura, se si limiterà a una delle sue invettive social o ricorrerà in tribunale. “Da francescani a gesuiti”, si limita a sentenziare oggi in uno stato di whatsapp, quasi a etichettare come falsi e ipocriti quelli che avallano il nuovo corso. Poi l’assemblea costituente di Conte vota. Il ‘grillicidio’ è compiuto.