DAMASCO (SIRIA) – L’obiettivo dei ribelli è Damasco. E il rovesciamento di Assad. Hanno assediato anche Homs, la porta verso la costa mediterranea, roccaforte storica dei clan alawiti al potere e sede delle principali basi militari russe nel Mediterraneo. Vanno avanti col placet ora esplicito del presidente turco Tayyip Recep Erdogan.
L’Iran, a parole, assicura che farà di tutto per sostenere il governo del sempre più traballante presidente Bashar al Assad, ma sul terreno le forze filo-iraniane sono da giorni scomparse dalle trincee.
E la Russia, solo una settimana fa descritta come il deus ex machina delle dinamiche politico-militari nella Siria in guerra, appare distante e incapace di difendere gli ultimi bastioni di resistenza governativa: oggi Mosca ha perfino invitato i connazionali a lasciare il Paese.
Forte delle conquiste sul terreno e desideroso di accreditarsi come interlocutore del prossimo presidente americano Donald Trump, il leader dell’offensiva, Abu Muhammad al Jolani, ex capo di al Qaida in Siria, ha rilasciato un’intervista proprio alla Cnn: “L’obiettivo della rivoluzione è il rovesciamento di questo regime”, ha detto, mostrando un taglio di barba meno minaccioso della sua precedente tradizione qaidista.
“È nostro diritto usare tutti i mezzi disponibili per raggiungere tale obiettivo”, ha aggiunto Jolani, rassicurando però le cancellerie occidentali sulla volontà delle sue milizie di non danneggiare gli interessi delle comunità cristiane e di altri gruppi non sunniti: “Nessuno ha il diritto di cancellare un altro gruppo. Queste comunità religiose hanno coesistito in questa regione per centinaia di anni e nessuno ha il diritto di eliminarle”, ha affermato il capo dei ribelli.
Dal canto suo, il presidente turco Erdogan è uscito allo scoperto. “Dopo Idlib, Hama e Homs, ovviamente l’obiettivo sarà Damasco. Avevamo lanciato un appello ad Assad per determinare assieme il futuro della Siria. Purtroppo non abbiamo ricevuto una risposta positiva”, ha detto il capo dello Stato turco, mentre a Baghdad, nel vicino Iraq, si sono incontrati i ministri degli Esteri iraniano, siriano e iracheno, risoluti nel dirsi uniti contro “il terrorismo”.
Sul terreno, l’Onu riferisce di quasi 400mila sfollati in una settimana di violenze armate, ma l’avanzata militare sostenuta da Ankara ha finora visto più rese incondizionate che scontri all’ultimo sangue tra i fronti rivali. Così, mentre i ribelli hanno consolidato la presenza a Hama e si preparano alla sfilata trionfale verso Homs, altre forze anti-governative nel sud, da più di 10 anni mobilitate in una rivolta mai sopita contro il governo, hanno rotto gli indugi.
E si sono mosse verso nord, prendendo, senza quasi colpo ferire, le postazioni dei lealisti in rotta. Le fazioni armate di Daraa hanno preso il controllo del valico frontaliero con la Giordania, mentre le autorità del vicino Libano, intimorite per un possibile tracimare del conflitto a sfondo confessionale, hanno chiuso tutti i passaggi di confine lasciando aperto soltanto quello lungo l’autostrada Beirut-Damasco. Anche le comunità druse di Suwayda, altra regione meridionale al confine con la Giordania, si sono attivate, stabilendo di fatto una regione semi-autonoma come richiesto da più di un anno di proteste pacifiche. Violenti sono stati invece alcuni scontri registrati tra insorti filo-turchi e miliziani curdi lungo la valle dell’Eufrate. Qui le forze governative hanno smobilitato lungo tutta la riva occidentale del fiume, lasciando che i curdi prendessero la strategica città di Dayr az Zor e il suo aeroporto militare.
Più a sud, al confine con l’Iraq, le milizie sciite filo-iraniane sono fuggite oltre frontiera, proprio mentre il leader della coalizione armata irachena, sostenuta dall’Iran e per anni operativa in Siria a fianco di Assad, ha dichiarato: “La crisi siriana è un loro affare interno”. E a ovest dell’Eufrate cellule dell’Isis – mai domate nonostante la “lotta al terrorismo” propagandata dai russi, dai governativi e dagli Stati Uniti – si sono riattivate sperando di occupare spazi lasciati vuoti dall’apparente caos innescato dal collasso delle difese di Damasco e dei suoi storici alleati.