Era il 23 dicembre 1984. Domenica. Nella redazione de “La Nazione” ci si scambiava gli auguri. Per due giorni, vigilia di Natale e Natale, non ci saremmo visti. I giornali, da calendario e contratto di lavoro, non dovevano uscire nè il 25, nè il 26. Atmosfera tranquilla, ma non rilassata. Avevamo 40 anni in meno ed eravamo, quasi tutti, “frizzantini”, ossia impegnati a lavorare sulle notizie di giornata, ormai quasi tutte in pagina. Intorno alle 8 di sera un segnale inquietante dalla stazione di Santa Maria Novella: non arrivavano più treni da Milano e Bologna.
I ritardi si accumulavano. I viaggiatori diretti a Roma chiedevano cosa fosse successo. Le Ferrovie non rispondevano. Il centralino del giornale era ormai intasato dalle telefonate. Ero fresco vicecapocronista e stavo rivedendo le pagine per aggiungere questa nuova notizia che ancora non aveva contorni precisi. Mi chiama il capocronista, all’epoca Maurizio Naldini: “Sandro, fai un salto alla stazione. Non capisco questo ritardo dei treni. Ho la sensazione di qualcosa di grosso, voglio vederci chiaro”.
Arrivo a Santa Maria Novella col fotografo. Ressa davanti ai tabelloni degli arrivi e delle partenze. Poi la prima voce: “E’ deragliato un treno sotto la galleria dell’Appennino”. Poi un’altra: “Parlano di esplosione, forse una bomba”. La nostra domenica pre festiva cambiò. Ci trovammo immediatamente in prima linea. Come per il mostro e le altre situazioni che dominavano la cronaca in quegli anni.
Il Rapido 904 trovò il suo tragico epilogo nella Direttissima (all’epoca , alle 19.08 del 23 dicembre 1984. La bomba, contenuta in due valigie, esplose all’interno della galleria: un inferno di fuoco, dolore, morte e lamiere. Persero la vita sedici persone. Molti i feriti. Si trattava, in gran parte di famiglie dirette a Milano per passare il Natale con i parenti e gli amici che, dal Sud, si erano trasferiti a Milano. Un treno carico di regali e di dolci, dove c’erano tanti pacchetti con la “pastiera napoletana”. Pastiere dal gusto fantastico che, purtroppo, non sarebbero mai arrivate sulla tavola di Natale. Poi i balocchi. Soprattutto bambole ritrovate fra le carrozze devastate e ridotte in ferraglia.
A “La Nazione” lavorammo tutta la notte per aggiornare le edizioni che andavano in stampa ad ore cadenzate. La mattina del 24 dicembre tornammo in redazione. Per la “straordinaria” che sarebbe uscita nel primo pomeriggio. Quindi ancora al lavoro per confezionare il giornale che sarebbe uscito la mattina di Natale: cosa mai accaduta fino ad allora e mai avvenuta dopo.
Per la strage ci sono stati processi e condanne. Di recente la Procura di Firenze ha riaperto le indagini. Archeologia giudiziaria? Non ho elementi per pronunciare un sì o un no. Facendo tornare la mente indietro di 40 anni, ripenso a quei corpi straziati, alle vite spezzate. E alla voglia di noi giornalisti di raccontare, fin nel minimo dettaglio, quello che era successo. Con il massimo rigore e l’imparzialità professionale che distingueva quel periodo. Senza social e fake news.