TEL AVIV – L’attacco israeliano contro l’Iran è imminente. Nel mirino i pozzi di petrolio che Teheran ha cercato di proteggere interrandoli il più possibili. La conferenza stampa di Khamenei con il fucile ha fatto impressione a Tel Aviv, anche se, oggi 5 ottobre 2024, gli esponenti iraniani cercano sbocchi diplomatici. Intanto, in Israele, vertici militari, intelligence, apparati della sicurezza stanno lavorando senza sosta alla preparazione di piani su più fronti. Primo fra tutti la risposta all’Iran dopo il vasto attacco del primo ottobre che, come hanno riferito fonti Usa, sarebbe “imminente”.
Poi la sicurezza interna in vista di temuti attentati ai civili nell’anniversario del 7 ottobre e l’ampliamento delle operazioni a Gaza a un anno dal massacro. Quindi l’allargamento delle operazioni di terra nel Libano del sud, raid martellanti sul quartiere dove è basato Hezbollah a Beirut, il blocco militare dello spazio aereo libanese, oltre al bombardamento – dopo quelli di altri varchi nei giorni scorsi – del valico di Masnaa, tra Siria e Libano, per impedire l’arrivo di armi spedite alle milizie sciite.
“L’Iran è dietro tutte le minacce contro di noi. Hanno lanciato centinaia di missili contro di noi in uno dei più grandi attacchi della storia. Nessun Paese al mondo accetterebbe un simile attacco, e nemmeno Israele lo accetterà. Abbiamo il dovere e il diritto di difenderci e di rispondere a tali attacchi. Ed è ciò che faremo”, ha annunciato in serata senza mezzi termini Benyamin Netanyahu puntando tra l’altro il dito contro il leader francese Emmanuel Macron che si era appellato ad un embargo verso Israele di quelle armi che utilizza a Gaza.
“Vergogna”, gli si è rivolto il premier israeliano, assicurando che lo Stato ebraico “vincerà con o senza il suo sostegno” e quello di “altri leader occidentali”. Ma “la loro vergogna – ha accusato Bibi – durerà a lungo”, anche dopo che la guerra sarà vinta. In giornata c’erano stati incontri tra i massimi vertici dell’Idf e rappresentanti dei Paesi alleati per coordinare l’operazione contro Teheran. Anche i comandanti militari dello Stato ebraico sono stati netti: “Non si può ignorare ciò che ha fatto l’Iran”. Come ha riferito venerdì il Washington Post descrivendo diversi video, circa 25 ordigni hanno superato il sistema di difesa colpendo o esplodendo nelle vicinanze di almeno tre siti militari e di intelligence.
Ben 20 missili balistici hanno centrato la base aerea di Nevatim, tre quella di Tel Nof, almeno due missili sono atterrati vicino al quartier generale del Mossad a Glilot. Una guerra aperta mai vista in precedenza. Al tavolo di coordinamento militare è atteso il capo del Comando militare centrale Usa, il generale Michael Kurilla che, nonostante le dichiarazioni pubbliche del commander in chief Joe Biden, con la sua presenza in Israele dimostra che i piani per la rappresaglia sono passibili di aggiustamenti, ma non sono in discussione.
Il presidente Usa ha avvertito Netanyahu, suggerendo “alternative” all’ipotesi di colpire gli impianti petroliferi iraniani. Così come nei giorni scorsi aveva detto che non “era una buona idea” attaccare il nucleare. Su questo argomento, quando in Israele era notte, un alto funzionario del dipartimento di Stato americano ha detto alla Cnn che Israele non ha fornito all’amministrazione Usa garanzie che non attaccherà gli impianti nucleari: “Non è fuori discussione, ci aspettiamo di vedere un po’ di saggezza oltre alla forza, ma non ne abbiamo garanzia”, ha commentato. Dal canto suo l’Idf sabato ha lasciato trapelare che la risposta all’attacco delle guardie rivoluzionarie sarà “grave e significativo”.
Dal punto di vista degli analisti in patria, una semplice operazione punitiva e deterrente i cui risultati sarebbero solo a breve termine non ha senso. E qualcuno si spinge ad immaginare l’inizio di “una campagna a lungo termine che porti alla caduta del regime iraniano”, come ha sottolineato Ynet. Negli Stati Uniti i timori dell’amministrazione Biden per un allargamento ulteriore della crisi vanno di pari passo con il lavoro dietro le quinte per impedire l’aumento dei prezzi dell’energia a un mese dalle elezioni americane. Gli Usa temono che l’Iran e i suoi seguaci nella regione cercheranno di danneggiare gli alleati arabi degli Stati Uniti in Medio Oriente, Arabia Saudita, Emirati e Giordania in primis.
A Beirut, intanto, i soccorritori, a causa dei continui bombardamenti dell’Iaf, non sono ancora riusciti a recuperare le vittime dell’attacco nel quartiere sciita dove, secondo funzionari dello Stato ebraico, sarebbe stato ucciso il successore di Hasan Nasrallah, Hashem Safieddine. Del quale si sono persi i contatti da giorni. Con lui nel sito bombardato c’era probabilmente anche il generale Esmail Qaani, capo delle forze Quds dei pasdaran, nominato nel 2020 dopo l’assassinio di Qassem Soleimani a Baghdad in un’operazione Usa.
La sua sorte non è ancora chiara, mentre è stata confermata dall’Idf l’uccisione del capo del braccio armato in territorio libanese Mohammed Hussein al-Lawis, e di Saeed Atallah Ali, “l’autorità esecutiva di Hamas in Libano”. Il capo di stato maggiore Herzi Halevi in serata ha dichiarato che l’Idf deve creare “danni duraturi a Hezbollah, senza dargli tregua”. Mentre la forza di pace Onu Unifil, di cui fanno parte oltre 1.000 soldati italiani, ha fatto sapere ufficialmente che non lascerà le posizioni nel sud del Libano, malgrado la richiesta di Israele di “ricollocarsi”. Nel cielo sopra Tel Aviv rimbombano di continuo i caccia verso il Libano, rendendo il buio ancora più cupo.