Il cambiamento si fa strada, a Damasco. Ahmad Sharaa (Jolani), ha imposto alla Siria “liberata” un nuovo primo ministro, Muhammad Bashir, già a capo del cosiddetto governo di salvezza della regione nord-occidentale di Idlib, da cui è partita la fulminante offensiva del 27 novembre che si è conclusa con la presa di Damasco all’alba di domenica 9 dicembre 2024.
AMNISTIA – Per rispondere alle numerose critiche dei siriani, già disorientati rispetto a un leader che dice di voler voltare pagina comportandosi però con la stessa mentalità baathista del recente passato, Sharaa ha annunciato l’amnistia per tutti i militari dell’esercito regolare che fino a 24 ore fa erano ancora formalmente agli ordini del deposto presidente Bashar al Assad. Un segnale che fa ben sperare, secondo alcuni osservatori, circa la volontà delle nuove autorità di non smantellare le istituzioni civili e militari dello Stato siriano, come invece accaduto in passato nei sanguinosi cambi di potere nel vicino Iraq e in Libia.
ITALIA: STOP ASILO – “Il Governo ha stabilito, analogamente a quanto fatto da altri partner europei, di sospendere i procedimenti circa le richieste di asilo dalla Siria”. Lo afferma una nota di Palazzo Chigi al termine del vertice “per valutare l’evoluzione della situazione in Siria”, presieduto dalla premier Giorgia Meloni.
ISRAELE BOMBARDA – Mentre a Damasco, segnata dalle sfilate disordinate di miliziani provenienti dalle varie contrade del martoriato Paese, avveniva il passaggio di consegne tra l’ex premier siriano Muhammad Jalali e il suo successore jihadista Muhammad Bashir, di fronte allo sguardo compiaciuto del comandante generale Jolani, Israele intensificava la sua campagna di oltre 100 bombardamenti a tappeto su tutta la Siria meridionale, occidentale e nord-occidentale, per distruggere gli arsenali siriani nelle regioni al confine con la Giordania, con il Golan occupato dallo Stato ebraico, col Libano e sulla costa mediterranea. Sul terreno, per il secondo giorno consecutivo, i carri armati di Israele sono entrati ancor più in profondità nel territorio siriano, attestandosi alla periferia orientale della città di Qunaytra, capoluogo-simbolo delle Alture occupate da Israele nel 1967. L
PROTESTE – Egitto e Giordania, due Paesi chiave dell’asse israelo-statunitense in Medio Oriente, hanno formalmente protestato per le azioni israeliane in violazione del diritto internazionale. “E’ un’occupazione della Siria che tenta di imporre una nuova realtà sul terreno”, ha affermato il Cairo. Altre violazioni contro la sovranità siriana sono state commesse dalla Turchia, che dal canto suo ha accelerato l’azione di pulizia etnica nella Siria occidentale a danno delle comunità curde. L’enclave di Manbij, tra Aleppo e l’Eufrate, è ormai di fatto tutta in mano alle forze siriane cooptate da Ankara. L’artiglieria e l’aviazione turca hanno ucciso 10 civili, tra cui due minori, secondo l’Osservatorio per i diritti umani in Siria.
TURCHIA – Secondo media internazionali, gli Stati Uniti, altra forza di occupazione militare nel nord-est e nell’est della Siria, hanno dato il via libera all’azione della Turchia, membro della Nato. Le forze curde, espressione dell’ala locale del Pkk, sembrano invece ogni giorno sempre più abbandonate a se stesse. E hanno dovuto affrontare una rivolta popolare da parte delle popolazioni arabe della Jazira, lungo l’Eufrate, in particolare nelle città chiave di Raqqa (ex capitale dell’Isis) e nello snodo sud-orientale di Dayr az Zor, vicino alle basi Usa erette a protezione dei giacimenti petroliferi di al Omar e a quelli di gas naturale del sito Conoco.
USA – Negli scontri di Dayr az Zor, ora città divisa in due, si contano un numero ancora non precisato di vittime tra i rivoltosi arabi e i miliziani curdi. Poco più a ovest, nella Badiya stepposa non lontano dall’oasi di Palmira, bombardieri statunitensi erano entrati in azione nella notte colpendo una serie di cellule dello Stato islamico, che si erano mobilitate in questi giorni di rimescolamento degli equilibri locali e regionali. In serata si è tenuta a New York una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu richiesta proprio da Mosca, dove si trovano in esilio “umanitario” il deposto presidente Bashar al Assad e la sua famiglia.