DAMASCO (SIRIA) – Rischia di vacillare, la tenuta del sistema di potere siriano, incarnato dal presidente siriano Bashar al Assad e per anni puntellato dagli sforzi militari, politici e diplomatici di Iran e Russia. L’onda anomala sollevatasi nel remoto nord-ovest siriano controllato da forze jihadiste clienti della Turchia sta travolgendo quasi senza colpo ferire le principali città siriane del nord e del centro, a partire da Aleppo, minacciando proprio la stabilità del regime, ora accerchiato dal riaccendersi di rivolte intestine anche lungo la valle dell’Eufrate e le regioni meridionali al confine con la Giordania.
Nel marasma dai contorni più che mai incerti, ma che vede fortemente indebolita la posizione militare iraniana nella Siria più vicina al Libano di Hezbollah, migliaia di civili sono in fuga dal conflitto e l’Onu ha avviato l’evacuazione del personale da Aleppo, caduta appunto nelle mani dei ribelli, mentre la Farnesina ha rassicurato sulle condizioni dei circa 300 italiani segnalati nel martoriato Paese mediorientale. Di questi 120 sono censiti proprio ad Aleppo e la maggior parte saranno evacuati nelle prossime ore verso Damasco, dove li attende l’ambasciatore Stefano Ravagnan, insediatosi nella capitale siriana solo pochi giorni fa.
Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha fatto sapere che ad Aleppo hanno deciso invece di restare solo alcuni gruppi familiari italo-siriani e pochissimi religiosi italiani. Per il momento, ha detto il vicepremier, “non ci sono pericoli per i nostri connazionali anche perché i ribelli hanno detto chiaramente che non toccheranno e non faranno operazioni ostili nei confronti dei civili, degli stranieri e anche dei cristiani”.
L’offensiva, cominciata solo tre giorni fa, ha investito prima le campagne a ovest di Aleppo e poi l’intera metropoli siriana. Questa è stata conquistata totalmente nella notte e nelle prime ore del giorno, mentre le forze governative si scioglievano come neve al sole in tutte le loro basi e postazioni, lasciando sguarniti gli aeroporti militari di Kuwairis, Abu Dhuhur, Nayrab e persino l’aeroporto internazionale di Aleppo, mai caduto nelle mani di insorti dall’inizio della guerra più di 13 anni fa.
Le forze curde, espressione dell’ala locale del Pkk e che hanno da tempo mantenuto una roccaforte ad Aleppo, hanno inizialmente tentato di approfittare del ritiro dei governativi e hanno per primi preso il controllo dello scalo internazionale della città. Solo nel pomeriggio, dopo aspri negoziati con le forze filo-turche, l’aeroporto è passato in mano ai jihadisti guidati da Ankara. Questi hanno proseguito verso sud, entrando senza colpo ferire in tutta la regione di Idlib, e penetrando, per la prima volta dopo quasi un decennio, in quella centrale di Hama. Qui, le forze russe si sono ritirate dall’aeroporto militare e dalla base chiave di Sqeilibye, sul fiume Oronte.
E mentre da Aleppo giungevano notizie dell’uccisione, in un raid aereo attribuito all’aviazione governativa o russa, di almeno 20 persone, tra cui due minori, l’offensiva jihadista raggiungeva la periferia di Homs, 100 chilometri a nord della capitale. Le notizie hanno dato forza alle mai sopite aspirazioni politiche delle fazioni ribelli del sud della Siria, che hanno attaccato postazioni governative a Daraa e Suwayda, al confine con la Giordania.
E in serata sono giunte voci – non confermate – di scontri, nel centro di Damasco, tra fazioni governative rivali, guidate rispettivamente da elementi filo-iraniani e da altri filo-russi. L’agenzia governativa di notizie Sana ha smesso di inviare notizie, così come risultano bloccati numerosi siti Internet di media e istituzioni governative. Tutti indizi che portano a uno scenario impensabile fino a poche ore fa ma che ora in molti prospettano: un golpe a danno di Bashar al Assad, secondo alcuni media da giorni fuggito a Mosca, secondo altri rintanato in un bunker del palazzo presidenziale a Damasco.
In serata è arrivata una laconica dichiarazione del raìs, che ha assicurato in una telefonata con l’omologo emiratino che la Siria “sconfiggerà i terroristi”. In questo clima è atteso nella capitale siriana il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi.