Iacopo Melio non avrebbe bisogno di presentazioni, si è affermato ormai come noto attivista in tema di diritti civili e, grazie alla sua campagna #vorreiprendereiltreno di alcuni anni fa, è diventato un volto noto a livello internazionale.
Si legge dal suo sito che è laureato in Scienze Politiche alla scuola “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze, lavora come giornalista free lance nel mondo della comunicazione digitale, le sue pagine social sono seguitissime e ricche di contenuti molto interessanti, colti e mai scontati.
Nel 2020 è stato eletto consigliere regionale della Toscana nelle file del Partito Democratico e, anche lì, la sua attività è molto legata al tema dei diritti e alla sensibilizzazione su aspetti che ancora oggi sono tabù difficili da abbattere.
Se invece cerchiamo il nome di Iacopo Melio su Wikipedia si legge subito una sua celebre frase: «Io non sono la mia carrozzina, così come nessuno sarà mai il suo paio di scarpe. Ognuno di noi è le proprie abilità, non le proprie difficoltà». Una frase straordinaria che impone una riflessione su quanto sia importante considerare le abilità, ribaltare l’approccio alla disabilità che per troppo tempo abbiamo avuto, considerare la persona con le sue caratteristiche e le sue fragilità, esattamente come per chiunque. In questo, anche il linguaggio conta molto, le parole che si usano, le frasi che si pronunciano.
Melio ha scritto il suo primo libro “È facile parlare di disabilità (se sai davvero come farlo)” e pochi giorni fa è uscito il suo secondo libro, salito subito sul podio dei più venduti nelle librerie italiane: “Ma i disabili fanno sesso? 100 risposte semplici e 100 domande difficili”. Un libro che affronta un tema molto caro a Iacopo Melio, ponendo l’attenzione su l’affettività e la sessualità delle persone con disabilità, aspetto taciuto e estremamente sottovalutato nell’opinione pubblica, come nelle strutture sanitarie e assistenziali, come se le persone disabili non ce l’avessero una sessualità. La sessualità a volte può diventare un problema per la persona con disabilità ed è necessario saperlo affrontare e poterne parlare.
Qui di seguito una chiacchierata con Iacopo Melio proprio su questo tema e sulle sfide e l’evoluzione che dovremmo e potremmo fare.
Iacopo, come mai hai sentito il bisogno di scrivere un libro sulla sessualità delle persone con disabilità?
Dopo il mio libro “È facile parlare di disabilità (se sai davvero come farlo)”, edito da Erickson, ho ricevuto molti feedback positivi che hanno confermato la necessità di un’educazione al linguaggio corretto (che poi forma una cultura corretta) circa la disabilità. Così ho voluto pubblicare una sorta di “seconda parte” ma più ampia, su tematiche non solo legate alla comunicazione, per questo lo definirei un vero e proprio “manuale di istruzioni” per ribaltare i principali stereotipi, pregiudizi e luoghi comuni che ancora oggi gravano sulle persone con disabilità.
Quale è stata la tua esperienza nella relazione in famiglia e con gli operatori che ti hanno seguito riguardo a questo importantissimo tema?
Io faccio parte della minoranza “fortunata” (perché ancora oggi è una fortuna per una persona disabile poter vivere la sfera intima in modo sereno e libero) che non ha avuto particolari problemi se non nell’adolescenza, ma d’altronde chi non ne ha avuti?
Nella mia famiglia, nonostante la giovane età dei miei genitori, non si è parlato di certi temi in modo estremamente approfondito, un po’ per pudore e un po’ perché i miei hanno “normalizzato” anche questo aspetto, ritenendo che se avessi avuto problemi ne avrei semplicemente parlato come nel caso di altro.
Questo, purtroppo, come dicevo resta un’eccezione e quando non si ha la possibilità di esplorare la dimensione sessuo-affettiva, e in più si incontra un ambiente non accogliente, può diventare un grosso problema.
È un tema di cui ancora si parla molto poco e forse altrettanto poco è gestito nelle strutture sanitarie e assistenziali. Manca formazione? Cosa si potrebbe fare?
Manca prima di tutto la cultura, proprio a livello generale e per chiunque: in Italia la sessualità e, in senso ampio, l’affettività, restano un tabù. Non se ne parla abbastanza in famiglia e non se ne parla per niente a scuola, anche per questo in politica mi batto per l’educazione all’affettività, all’emotività e alla sessualità nelle scuole: l’ho fatto con una mozione in Regione Toscana, approvata, e l’ho fatto lanciando una conseguente campagna chiamata “Ora educazione!” che ha toccato tantissimi comuni toscani, che a loro volta hanno rilanciato nei consigli la mozione regionale. Ma non basta.
Se la sessualità è un tabù nel nostro Paese, immaginiamo cosa succede ad associarla a un secondo tabù, la disabilità. In questo caso ci sono una serie di stereotipi e pregiudizi ancora radicati, che fanno sì che una persona con disabilità fatichi a costruirsi una propria dimensione affettiva.
Quando poi le difficoltà sono gravi, soprattutto mentali, la socializzazione non basta e in quel caso occorrono figure specializzate come le OEAS che in Italia non sono riconosciute, e anche su questo, con l’On. Marco Furfaro, abbiamo lavorato a una PDL per il Parlamento: la sfida è difficile ma intanto tenere l’attenzione alta sul tema vale già molto.
La politica e le istituzioni come possono aiutare?
Parliamoci chiaro: le famiglie sono abbandonate quando si tratta di sessualità di figlie e figli con disabilità. Non sanno come gestire quello che a tutti gli effetti può diventare un disagio importante: per chi lo vive in prima persona, per i Caregiver e infine per chi sta intorno.
Addormentare attraverso dei farmaci il naturale istinto di un ragazzo con un grave ritardo mentale la trovo una barbarie inaudita, ma se da un lato non possiamo (e non dobbiamo) togliere qualcosa che è spontaneo, possiamo puntare in qualsiasi caso a una sorta di educazione e formazione, per il ragazzo e la sua famiglia: l’OEAS serve a questo, banalmente a insegnargli che toccarsi in fila al supermercato è assolutamente sbagliato, ma che nella privacy della sua camera potrà esplorare il proprio piacere liberamente.
Istituzionalizzare una figura professionale simile vuol dire togliere un peso enorme alle famiglie, che a volte porta ad alternative estreme e altrettanto violente.
Come Consigliere Regionale hai fatto tante battaglie anche all’interno delle istituzioni. Negli ultimi anni sono stati raggiunti dei risultati dalle istituzioni? Adesso la politica è pronta ad affrontare queste tematiche così importanti per la vita di molte persone?
Anche in questo bisogna essere realisti, i cambiamenti istituzionali non sono immediati ancor più con un Governo centrale di destra, conservatore, che ha cancellato ogni briciola rimasta per l’educazione all’affettività nelle scuole, trasformandole in una propaganda “pro life” imbarazzante.
Quello che c’è di confortante è fuori dai Palazzi, la sempre maggiore presa di coscienza pubblica, alla luce anche delle tragiche vicende di cronaca, penso al più noto e recente femminicidio di Giulia Cecchettin: soprattutto le generazioni più giovani sono ben consapevoli di cosa sia necessario tra parità, lotta al patriarcato e sensibilità collettiva.
Questo è un risultato che, anche se a discapito della vita di molte e molti, stiamo sempre più vedendo concretizzarsi e spero si traduca col tempo in una politica più sensibile.