Noell Maggini è nato a Prato, di origini Sinti è oggi un affermato designer nella moda. Nel 2020 fu considerato un prodigio dell’alta moda italiana. Ogni capo è frutto di un rigoroso studio, che tiene conto dell’artigianalità con la scelta e il rispetto dei tessuti e delle materie prime, dell’inclusività e dell’ambiente.
Ha conosciuto momenti complicati e il percorso per iniziare a lavorare nella moda con il suo brand non è stato semplice. Noell ha voluto farci un regalo, raccontarsi.
Noell, siamo molto incuriositi dal tuo percorso di crescita professionale e personale, partiamo proprio dall’inizio. Chi era Noell bambino?
Sono nato in una famiglia di Sinti, forse la parola è poco nota, ma in realtà siamo una comunità che fa parte del tessuto di questo paese da decenni. Il popolo Sinti ha subito negli anni enormi discriminazioni e questo ha portato molti di noi anche a negare le proprie origini o a nasconderle. Troppo spesso è capitato che persone Sinti abbiano perso il lavoro appena saputa la loro origine, in molti cambiano indirizzo sui curriculum perché, se i datori di lavoro vengono a sapere che vivono nei campi, spesso non assumono o licenziano. I Sinti fanno parte del popolo dei Romanì, quello che comprende anche i Rom. La prima traccia dei Sinti in Italia risale al 1400, hanno da sempre fatto parte del nostro Paese. Quando un Sinti si sente
dire “tornate a casa vostra” è spaesato, casa sua è l’Italia, spesso da sempre. Si dice che i Sinti siano partiti dall’India, passando dall’occidente. La lingua ha subito tantissime influenze diverse. Ogni volta che il popolo si stabilisce e mette radici, la lingua cambia. La loro cultura è fondata sul lavoro, molti adesso fanno i giostrai, in passato molti facevano violini. Anche la mia era una famiglia di giostrai.
I miei genitori si sono conosciuti in un luna park, si sposarono presto ed ebbero 4 figli, continuarono a lavorare nei luna park come i loro genitori.
La famiglia in inverno si fermava a Prato nel campo concesso dal comune, quello che oggi è un campo riconosciuto. Ho vissuto un’infanzia spensierata, fino all’età di 6 anni non credevo di essere un problema per la società, ma andando a scuola me ne sono reso conto, le discriminazioni sono iniziate subito. Ero costretto a cambiare spesso scuola, visto il lavoro dei miei genitori ed era un continuo trauma, ogni giorno tornavo a casa chiedendomi perché ero così odiato senza aver fatto nulla. Da bambino non potevo capire, soffrivo e basta. Crescendo non è stato comunque semplice, a volte mi accaparravo qualche amicizia finta perché ero quello “figo” che faceva salire sulle giostre gratis, ma più spesso ero solo “lo sporco zingaro”. Anche le maestre in questo non mi hanno aiutato, mi presentavano alle classi come “lo zingaro”. Ho pensato ad una strategia per farcela: il modo migliore era fare meno possibile, non essere visto, essere invisibile, ma continuamente interiorizzavo paura e dolore. Un giorno ho chiesto a mio padre perché eravamo così odiati. Mio padre in quell’occasione mi ha raccontato la storia del mio popolo, della memoria di tanti che sono stati uccisi nella Seconda Guerra Mondiale e mi ha detto che devo essere fiero, che facciamo parte di questo Paese e che lo amiamo, anche noi abbiamo fatto la resistenza per la libertà dell’Italia, mai usando armi. In un pomeriggio passato assieme a mio padre ho capito che non dovevo odiare le mie origini, ma amarle. Ho preso coraggio e piano piano ho iniziato a rispondere, a essere fiero e raccontare chi ero.
Una volta ho invitato 25 ragazzi della scuola a casa mia per fargli conoscere la mia cultura e farli uscire dai luoghi comuni che ci vedevano come sporchi e ladri.
Come nasce il tuo interesse per la Moda?
Volevo studiare moda, da sempre, nonostante la mia famiglia fosse lontana da quel mondo. Di solito i Sinti fanno la scuola dell’obbligo e poi intraprendono il lavoro dei padri, ma i miei mi hanno sempre incoraggiato a studiare. Non erano però molto convinti che studiassi moda, per mio padre era un lavoro da ricchi e si sentiva impossibilitato ad aiutarmi. La mia famiglia ha conosciuto la povertà, anche se hanno cercato di non farci mai mancare nulla.
Un pomeriggio passai davanti a una scuola privata di moda a Prato, ero con mia sorella che mi invitò a entrare per avere informazioni. Mi dettero un preventivo e pensai che sarebbe rimasto solo un grande sogno. Raccontai questa visita ai miei, mia mamma dispiaciuta mi disse che non era possibile. In cuor suo però rimase il desiderio di esaudire il mio sogno, ci pensava continuamente e si confidò con delle amiche della Caritas di Prato, parlando con naturalezza come le amiche parlano dei propri figli.
Passarono dei mesi, mi ricordo che era estate, una delle amiche di mia mamma chiamò e le disse che da quando le fece quella confidenza ci pensava continuamente e che le amiche volevano aiutarmi nel mio percorso di studi. Pagarono loro la mia scuola.
A scuola di moda finalmente mi sono sentito io, la moda era dentro di me, mi sentivo bene e ogni giorno imparavo e crescevo. La discriminazione è scomparsa ed ha lasciato spazio alla curiosità sulla mia storia e il mio percorso. Dopo pochi mesi partecipai al mio primo concorso di moda come designer e andò molto bene. Sono stato tre anni nella scuola, diplomato a pieni voti, quello è stato un bellissimo periodo della mia vita. Mi sentivo un privilegiato vista la situazione economica di partenza della mia famiglia.
La passione per la moda ti ha portato a finire la scuola velocemente e poi hai subito lavorato?
Nell’ultimo anno di scuola un docente ci fece una lezione sulle tendenze, fece un’affermazione che a me sembrò sbagliata e mi permisi di correggerlo, ammise che in effetti avevo ragione io. Fu proprio lui a chiedermi di seguirlo a Milano per aiutarlo per la regia delle sue sfilate. Mi misi subito in gioco e mi trasferii a Milano per un anno, avevo 18 anni. Lavorai con lui nel backstage delle sfilate, come assistente per un’agenzia di moda.
Quando tornai a Prato iniziai a lavorare per raggiungere il sogno di diventare un designer, feci due stage in due case di moda importanti, furono molto formativi anche se molto difficili.
Volevo creare cose mie e dopo il lavoro non mi fermavo, tornavo a casa e mi mettevo alla macchina da cucire per realizzare i miei modelli. Vivevo in due mondi paralleli, molto diversi, lavoravo in importanti aziende di moda e la sera tornavo nel campo Sinti. Non era facile, i sinti hanno interiorizzato la discriminazione, il campo diventa come una protezione una barriera nei confronti dell’esterno, della città. Io facevo qualcosa di anomalo, uscivo e mi buttavo nella città, lo facevo con tranquillità, ma mi rendeva anche confuso. A un certo punto conobbi una persona da cui andai a comprare dei tessuti, si interessò a cosa facessi e mi disse che avrebbe voluto vedere le mie creazioni. Mi propose una collaborazione, iniziai a creare capi con i suoi tessuti e presentammo una prima collezione che riuscì ad avere un buon riscontro, le successive andarono ancora meglio.
Iniziai così a farmi conoscere nel mondo della moda. Inizialmente faceva notizia quello che ero, uscivano articoli che titolavano “dal campo rom alle passerelle”, a me non piaceva. Volevo essere conosciuto come Noell designer e non per le mie origini.
Noell Maggini adesso è un designer sempre più affermato. Quando hai iniziato lavorare con il tuo brand?
Nel 2018 iniziai a lavorare da solo, decisi di affrontare le mie origini anche nel mio lavoro, le mie creazioni dovevano rappresentare me, quello che sono e anche da dove sono venuto. Presentai una collezione che si intitolava “Noell Maggini Gipsy”, usando uno dei termini che venivano usati per discriminarmi, ma cercando di non alimentare lo stereotipo, volevo raccontare la parte emotiva e la cultura attraverso i miei capi. La collezione ha avuto molto successo, fu apprezzata e rappresentò la svolta, da lì si parlò di me per il mio brand e per la mia creatività. Da qui iniziarono anche importanti collaborazioni con artisti molto noti, fino a lavorare anche per l’Eurovision.
Vivevo nel campo, e un attimo dopo mi ritrovavo alla Milano Fashion Week con star internazionali a ridere e scherzare. Assurdo vivere in due dimensioni così profondamente diverse. In molti mi chiedevano perché continuassi a vivere nella roulotte nel campo, rispondevo sempre che volevo far cambiare le cose intorno a me, ma non volevo cambiare io: volevo contribuire all’inclusione, all’eliminazione del pregiudizio.
Quanto è importante ancora oggi per te contribuire alle attività contro la discriminazione del tuo popolo?
L’arte è un mezzo molto forte per parlare di cose importanti. Io uso l’arte per parlare di discriminazioni come quella che ho vissuto io, ma in generale di tutte le discriminazioni rivolte alla persona. Mi piace pensare che le mie creazioni contribuiscono a decostruire gli stereotipi e combattere ogni discriminazione. Uso la mia moda per raccontare qualcosa, dare un messaggio, fare delle battaglie, ma non solo, mi piace essere un’attivista collaborare con progetti che puntano a far conoscere il mio popolo e la sua storia.
Sei alla vigilia della presentazione di una tua nuova collezione e ne hai già alle spalle alcune, come definiresti oggi la tua moda? Quali sono i tuoi progetti futuri.
Definirei la mia moda intersezionale. Mi piace pensare che la persona possa sentirsi libera di indossare quello che vuole senza distinzione nel genere, ho sempre pensato a un uomo e una donna davanti a un armadio che si scambiano cose senza pensare che una cosa è per lui o per lei. Amo la libertà di essere.
Per quanto riguarda il futuro ammetto che è un momento molto complicato per la moda in generale, ma io continuo a lavorare per farmi conoscere ed espandere il mio brand e far conoscere anche il messaggio che voglio trasmettere: il valore dell’artigianalità e
dell’intersezionalità come base del mio lavoro.
A febbraio presenterò la mia prossima collezione che si chiamerà “Seconda Pelle”.
Nelle foto alcune delle creazioni di Noell Maggini. si può consultare il suo sito qui
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